Arturo Martini (Treviso 1889- Milano 1947) è stato uno scultore italiano le cui figure umane sono tra gli emblemi del Novecento in Italia: fu in scultura il banditore e l’interprete di questo mito umanistico.
Dopo essersi formato a Treviso e Venezia come orafo e ceramista, ebbe contatti con la cultura europea (studiò per qualche anno a Monaco e fu a Parigi nel 1911), ma restò sempre legato a forme di espressione tradizionali. In questo senso la sua esperienza futurista nel 1913 resta una breve, seppure interessante, parentesi.
Negli anni venti, aderendo a valori plastici, superò il naturalismo ottocentesco riscoprendo e facendo rivivere la solenne umanità della nostra scultura antica.
Martini fu artista ricchissimo, che si espresse con altrettanto vigore nel legno e nella pietra, nella creta e nel bronzo.
Figliol Prodigo
(1926 – Acqui Terme, Casa di riposo Ottolenghi, Via Verdi, 2):
“Nella sua prima grande realizzazione in bronzo le reminiscenze della scultura trajanea e romanica appaiono mirabilmente fuse e trascese in una temperie di profonda, appassionata umanità che trova la più immediata espressione nel trepidante incontro dei due personaggi, mentre il modellato asciutto e vigorosamente scandito tanto nei loro volti intenti quanto nel torso ignudo del figlio e nella tunica paterna bene si adegua alla nuova struttura monumentale e dinamica dell’opera con la quale «si apre veramente la storia della scultura italiana contemporanea” (De Micheli).
Enciclopedia Treccani
Gli anni Venti furono per il Martini anni di nomadismo fisico e intellettuale, molto produttivi per la sua attività. Frutto di questa temperie furono alcuni capolavori, tra cui Il figliol prodigo (1927: Acqui Terme, Opera pia Ottolenghi), La Pisana (1928: Treviso, Museo civico), Il bevitore (terracotta, 1928: Milano, Pinacoteca di Brera), oltre a una vasta produzione di ceramiche a stampo di piccolo formato.
Il figliol prodigo è un apice: il padre e il figlio, in piedi e di fronte, si accostano, un attimo prima dell’abbraccio riconciliatore. I loro sguardi si incontrano in un muto dialogo; mentre la postura dei corpi descrive una ritmica scansione spaziale, fatta di linee e volumi in alternanza di pieni e di vuoti, la quale, riallacciandosi alla statuaria antica e a precise fonti medievali romaniche (Deposizione di Tivoli, gruppo di S. Martino e il povero della cattedrale di Lucca), rinnovava profondamente, senza più rimpianti ottocenteschi, la plastica italiana del tempo. In quest’opera asciutta e assertiva il M. pose le basi per una nuova scultura come arte del racconto, a un tempo simbolico e concreto, da far vivere nella società, tra la gente, nelle città. Significativamente, benché opera monumentale in bronzo, Il figliol prodigo fu realizzato a spese dell’artista, senza un committente, rispecchiando un’urgenza espressiva dell’autore.
Il figliol prodigo di Arturo Martini va a stupire la capitale (2005)
Acqui Terme. Il Figliol prodigo ha lasciato nuovamente la sua casa. Da venerdì 25 febbraio la statua di Arturo Martini non si trova più presso l’Opera Pia Ottolenghi.
Ma, al contrario del Leone di Monterosso e di altre opere che un tempo si potevano ammirare sulla collina alle porte di Acqui, non si tratta di un addio.
Il bronzo è infatti partito per Roma dove, dall’otto marzo al 31 maggio 2005, sarà esposto nell’ambito della XIV edizione della Quadriennale, che dopo le “Anteprime” del 2003, tenutesi a Torino e a Napoli, dedicate ai giovani artisti italiani, si concluderà nella capitale proprio nella primavera di quest’anno con l’atteso allestimento, in programma presso il Palazzo delle Esposizioni.
Acqui in una prestigiosa vetrina d’arte mondiale
Nell’ambito di questa manifestazione d’arte contemporanea, una delle poche italiane dal prestigio internazionale, due sezioni -accanto ai percorsi denominati 100 artisti per un quadro dell’arte italiana e Una finestra sull’arte straniera a Roma – andranno a proporre un doppio momento di retrospettiva storica che intende rievocare due edizioni della Quadriennale: quella del 1931 (in cui il Figliol prodigo, esposto sempre al Palazzo delle Esposizioni, assicurò ad Arturo Martini la fama – primo premio per la Scultura – e un significativo assegno in denaro), e quella del 1948, la quinta, allestita presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Ventiquattro le opere che un comitato artistico di alto valore profilo – Bianca Alessandra Pinto, già soprintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; Pier Giovanni Castagnoli, direttore del GAM di Torino; Elena Pontiggia, ordinaria di storia dell’arte contemporanea a Brera; Carlo Fabrizio Carli, storico dell’architettura e critico – ha individuato per “riassumere” gli esiti della prima Quadriennale: di qui la richiesta per un prestito del bronzo da parte degli organizzatori romani, richiesta cui l’Opera Pia Ottolenghi – consultati anche gli eredi del Cav. Arturo, attualmente negli USA – ha risposto in modo favorevole.
Dunque la scena dell’incontro di Martini potrà affiancarsi alle opere di Carrà, Casorati, Sironi, Soffici, a quelle dei futuristi, di Medardo Rosso e Antonio Mancini che col Figliol prodigo contraddistinsero l’edizione del 1931.
E sempre in quell’anno il capolavoro del Martini, acquistato dall’Ottolenghi e dalla moglie Herta von Wedekind, trovò collocazione nel cortile prossimo alla cattedrale, quasi a riassumere in un abbraccio quello spirito di solidarietà che il ricovero intitolato a Jona Ottolenghi, filosofo della filantropia e della beneficenza (così lo si ricordò alla morte, nel 1897), incarnava già dal lontano 1892.
Un capolavoro che divenne subito acquese
Anche se il nuovo ricovero venne inaugurato nell’ottobre 1934, già a partire dal 1931 i giornali sono puntuali testimoni dello stato d’avanzamento dei lavori. In tale ambito, nell’autunno di quell’anno, è possibile riscontrare non solo la collocazione del bronzo presso la struttura in via di restauro, ma anche l’ammirazione unanime che suscitò quando, in occasione dell’anniversario della Marcia su Roma, per la prima volta gli acquesi, a cominciare dalle autorità in camicia nera, in visita alle opere eseguite nell’anno IX (tra l’altro in zona Bagni era in corso una profonda ristrutturazione delle Vecchie Terme; in città era da poco entrato in funzione un nuovo reparto cure) poterono incontrare per la prima volta il risultato plastico che aveva conquistato Arturo Ottolenghi. Delle impressioni è testimone il “Giornale d’Acqui” (testata più che allineata con il regime), che nel numero del 31 ottobre/ 1 novembre propone una articolata cronaca della visita al Vecchio Ospedale. Grande l’emozione nel vedere i muri cadenti sostituiti dai grandiosi loggiati a tre ordini del nuovo fabbricato, nel percorrere i saloni in cui fervono ancora gli spaziosi lavori. L’incanto sembra però venire dalla scultura collocata nel cortile.
Cronaca del primo incontro (ottobre 1934)
“Prima di finire la visita le autorità sono invitate ad ammirare la splendida statua Il Figliol prodigo di Arturo Martini, che l’avv. Ottolenghi [che si accollò personalmente tutte le spese di trasformazione dell’immobile; il progetto fu redatto dal Geom. Carlo Ghiazza, capo dell’Ufficio Tecnico del Municipio e direttore dei lavori] ha acquistato per donarla al ricovero di mendicità. Per quanto la fama di questo capolavoro, che è stato premiato alla Quadriennale col premio di lire centomila, sia nota a tutti, le autorità restano molto impressionate dalla magnifica espressione delle figure scolpite in bronzo antico: l’incertezza del figlio, la commozione del padre, le scultoree forme delle parti nude, le vesti, ogni particolare, è una opera d’arte che solo un grande artista ha potuto ritrarre con così meravigliosa evidenza e bellezza.
Il capolavoro di Martini non poteva trovare miglior sede, e le autorità convenute hanno voluto esprimere tutto il loro compiacimento verso l’insigne benefattore, sia per l’opera costruita, che per aver assicurata alla nostra città la preziosa statua, indirizzandogli la seguente lettera:
“Sig. Avv. Arturo Ottolenghi
I rappresentati delle autorità Civili, Politiche e Militari e Enti pubblici cittadini, in visita alle opere compiute nell’anno IX dell’Era Fascista, radunati nel cortile del ricovero di mendicità, ammirano l’opera grandiosa che V.S., seguendo le tradizioni munifiche degli avi, ha voluto fosse costruita, per dare ai vecchi bisognosi una dimora, salubre, decorosa che assicuri loro sollievo e ristoro nei duri anni della vecchiaia. Mentre plaudono alla geniale opera Vostra, sostano entusiasti dinnanzi al Figliol prodigo, capolavoro dell’insigne scultore A. Martini, che V.S. con senso squisito d’arte e di opportunità ha voluto donare al ricovero perché costituisca del nuovo edificio, un artistico ornamento degno dell’ammirazione dei posteri.”
Una ammirazione che non impedì, però, il coinvolgimento dell’Ottolenghi – convertitosi al cattolicesimo, ma discendente da famiglia ebrea – nelle persecuzioni. (Giulio Sardi)